Per sempre… Vostro

Sono tornato a calcare gli amati
e mai dimenticati sentieri del mio pensiero. Li ho scorti impolverati,
infestati dai cespugli che vengon fuori quando un vicolo è poco calpestato,
frequentato. Sono tornato perché ne avevo voglia e soprattutto ne avevo
bisogno.

E allora eccomi qui… impolverato
anch’io come non mi capitava da tempo, volutamente trasandato nel mio riflettere,
visibilmente deluso, provato dal silenzio conturbante del mio sguardo. Questi
occhi da vecchio sognatore, hanno finito di uscire dalle orbite, hanno smesso
di colorare il grigiore dei giorni senza pretese. I miei occhi non verranno
risvegliati da alcuna lente. Hanno chiuso.

Ho smesso di pensare che la gente
possa partecipare del mio modo di essere, del mio modo di pensare. Ho smesso di
aspettarmi una risposta degna, dignitosa, stravolgente. E’ come se in una
partita a scacchi, la solita e struggente partita, qualcuno muova l’alfiere
sempre nello stesso modo, fingendo un attacco per poi restare sempre sulla difensiva.

Io sono stanco di queste partite
scontate. Sono depresso dai copioni che si ripetono, dalle persone che non
sanno entusiasmarmi, della gente che vive con affezione la sua incoerenza. Sono
vecchio ormai, per combattere le battaglie che appartengono solo a me.

Si, mi sento vecchio. Le rughe
del mio essere cominciano a trasformarsi in piaghe dentro le quali non mi va
più di infilare le dita delle mie mani slacciate, sfiancate. Non mi va più di
cercare quel sottile piacere nel provocare dolore alle mie ferite. Non mi va
più di rimuovere la crosta delle mie infezioni, lasciando fuoriuscire il sangue
marcio dei miei silenzi biasimanti.

Come un vecchio trovo appoggio
nel bastone del mio vivere, celando la mia andatura ormai non più sveglia e
interessante. Sono vecchio perché ho smesso di farmi crescere la barba, sono
vecchio perché la gente mi trova sempre al mio posto, in piedi, fermo e severo.
Sono vecchio perché di me si prendono gioco ragazzini strafottenti,
raccomandati e viziati.

Eccomi qui, sulla panchina del
mio giardinetto, fatto di silenzi accarezzati dal vento, di palpebre
leggermente chiuse per non lasciar entrare troppa luce, di mani nodose, di
labbra arse, spaccate, salate.

E’ così che mi sento.
Dannatamente vecchio, con pochi tempi ancora da vivere, scippato del mio meravigliarmi,
del mio sentire il cuore in gola per un’emozione da comunicare. Mi sto
estinguendo, come un fuoco domato, come un esemplare cacciato, sterminato. E voglio
andarmene nel silenzio, senza che nessuno si accorga di nulla, senza che
nessuno abbia anche solo l’impressione di potermi fermare. Voglio scomparire,
continuare a vivere in questo contenitore che è il mio corpo indipendente e
incontrollabile. Voglio sorridere a comando, voglio parlare per dovere, operare
per contratto, voglio essere automa, voglio solo obbedire con perfezione. Si
voglio essere nauseante, perfetto, impeccabile.  

In fondo è questo a cui siamo chiamati.
La costante ricerca di una regola matematica, di una routine comportamentale,
di uno schema di calcolo in cui implementare le variazioni introdotte dalle
condizioni al contorno.

Io mi adeguo. Mi troverete al mio
posto, in piedi, fermo e severo. Ormai non più scapigliato, muto e fiero. Sarò
puntuale. Sarò quello che vorrete, chi cercherete, felice per contratto,
conquistato, comprato, domato. Per sempre… vostro.

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